Il Rapporto 2017 sull’industria dei quotidiani in Italia

E’ disponibile a questo link l’edizione 2017 del Rapporto sull’industria dei quotidiani in Italia, la pubblicazione realizzata da Asig e dall’Osservatorio Tecnico “Carlo Lombardi” per i quotidiani e le agenzie di informazione. Ne riportiamo a seguire la premessa.

 

Negli ultimi mesi del 2016 e nella prima parte del 2017 l’industria italiana dei quotidiani è stata investita da una fase di grandi cambiamenti, che hanno riguardato anche e soprattutto le realtà maggiori del settore. Nel mese di giugno 2017 si è praticamente completata la fusione tra i gruppi editoriali ai quali facevano capo i quotidiani Repubblica e La Stampa: un processo complesso, avviato più di un anno fa (ne avevamo accennato nell’introduzione al Rapporto 2016), che è dovuto passare anche per la cessione di alcune testate per evitare che il nuovo soggetto superasse i limiti di concentrazione editoriale previsti dalla legge. Il risultato di questo processo è un nuovo soggetto, GEDI, che riunisce tre storici quotidiani nazionali – La Repubblica, la Stampa, Il Secolo XIX – 13 testate locali, il settimanale L’Espresso ed altri periodici, senza dimenticare la concessionaria di pubblicità, le televisioni, le radio, le attività digitali e – last but not least – un importante network di stabilimenti di stampa. Un “campione nazionale” con un fatturato nell’ordine dei 700 milioni di euro e con le dimensioni adeguate per confrontarsi con gli altri giganti internazionali del settore.

A circa un anno fa, per l’esattezza al luglio 2016, risale la seconda grande operazione editoriale dell’anno, ovvero la scalata di Urbano Cairo al gruppo RCS. Il risultato di questa operazione è prima di tutto quello di restituire ad un editore puro un gruppo editoriale che col passare degli anni si dice fosse diventato una sorta di club di imprenditori, ciascuno con interessi primari in altri settori e il cui interesse nel business editoriale è spesso sembrato secondario rispetto all’interesse politico di avere un piede dentro la stanza dei bottoni di uno dei più importanti e influenti organi di informazione del nostro Paese, il Corriere della Sera. Anche in questo caso, l’operazione di Cairo ci consegna un gruppo editoriale di grandi dimensioni, attivo nell’area dei quotidiani e dei periodici a larga diffusione, nella televisione, nella pubblicità, nell’organizzazione di eventi sportivi. Un gruppo con una massa critica adeguata a sostenere gli investimenti che saranno richiesti per competere con gli altri colossi del settore, in Italia ed all’estero.

E se non bastassero le vicende dei due maggiori gruppi editoriali del nostro Paese, ricordiamo il gruppo 24 Ore che ha attraversato una grave crisi e  da pochi mesi ha rinnovato la squadra di management e la direzione giornalistica, varando inoltre un importante aumento di capitale. O ancora la recentissima decisione del gruppo editoriale Caltagirone di lasciare la Borsa Italiana, dove il titolo era quotato sin da quando, all’inizio del 2000, fu costituita la società che raggruppava le testate acquisite dal gruppo: Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino. C’è da augurarsi che l’abbandono della Borsa non preluda ad un disimpegno dalle attività editoriali da parte del gruppo.

* * *

Alla radice di tutti questi cambiamenti, e degli altri che – ne siamo certi – seguiranno nei prossimi mesi ed anni, vi è la profonda, radicale trasformazione del settore editoriale, in ogni sua componente: dalla elaborazione delle notizie alla veicolazione dei contenuti, dall’acquisizione della pubblicità alla vendita dei contenuti ai lettori ed agli abbonati, sino alla questione centrale e decisiva, ovvero il rapporto con gli Over The Top, i giganti dell’economia digitale che condizionano e regolano l’ecosistema sociale ed economico che ruota attorno a Internet.

Per avere un’idea di quanto radicale sia il cambiamento in corso, basta scorrere anche distrattamente i capitoli del Rapporto 2017 con tutti i dati aggiornati sull’andamento del settore. Basti citare solo qualche numero sparso per avere un’idea delle dimensioni della trasformazione in corso: negli ultimi dieci anni la diffusione complessiva dei quotidiani si è più che dimezzata, passando da 5,4 milioni a 2,6 milioni di copie giornaliere  al netto della free press, che dieci anni fa valeva diverse centinaia di migliaia di copie al giorno ed oggi è pressoché irrilevante. Nel solo 2016 la riduzione delle copie diffuse ha superato il 10%, e i primi mesi del 2017 non sembrano discostarsi da questo trend: nel mese di aprile, ultimo disponibile al momento della chiusura di questo rapporto, la diffusione è risultata inferiore del 3% rispetto a dicembre 2016 e dell’11% rispetto all’aprile 2016.

Ancora peggiore, se possibile, la performance del mercato pubblicitario. L’ultimo decennio è stato attraversato da una crisi economica gravissima, la peggiore dal secondo dopoguerra, che in Italia ha visto un calo complessivo degli investimenti pubblicitari del 27%, da 8,8 a 6,4 miliardi di euro, peraltro con un lieve, promettente recupero (+1,7%) nel 2016. In questo contesto già non brillante, la performance dei prodotti editoriali è stata particolarmente negativa: nel decennio considerato, il fatturato pubblicitario di quotidiani e periodici si è ridotto di oltre il 60%, ad un ritmo annuo di poco inferiore al 10%.

Non che all’estero le cose vadano tanto meglio. Secondo i dati recentemente pubblicati dal Pew Research Center, la diffusione dei quotidiani negli USA – cartacea e digitale – è stata pari nel 2016 a 35 milioni di copie giornaliere, in calo dell’8% rispetto al 2015: il valore più basso da quando – nel 1940 – l’Associazione degli Editori USA cominciò a raccogliere questi dati. E se i ricavi diffusionali sono rimasti stabili intorno agli 11 miliardi di dollari, grazie agli aumenti di prezzo delle copie singole e degli abbonamenti, il fatturato pubblicitario è diminuito del 10% in un solo anno, da 20,3 a 18,3 miliardi di dollari. Nel 2005, l’anno dello zenit dell’industria editoriale USA, i quotidiani fatturarono poco meno di 50 miliardi di pubblicità.

* * *

Che fare, allora? Una possibile risposta sarebbe quella di trasferirsi in India dove, in netta controtendenza con quasi tutto il mondo, negli ultimi dieci anni la vendita media giornaliera di quotidiani è aumentata da 39 a 62 milioni di copie. Ma, scherzi a parte, non esistono a oggi risposte definitive su come arginare la crisi di un settore industriale che sino a dieci anni fa appariva in ottima salute. Il futuro va sempre più verso il digitale, questo appare chiaro, ma il come, il quando e soprattutto il quanto si potrà guadagnare con questo passaggio appare ancora difficile da capire. Possiamo provare a mettere alcuni punti fermi:

La carta è destinata ad un consumo più elitario e di nicchia, e sarà sempre più rivolta a chi chiede qualità, approfondimento, articoli ed inchieste lunghi e ricchi di immagini e di dati;

La pubblicità è destinata a ridursi ulteriormente, sia sulla piattaforma cartacea che su quella digitale, dove a breve gran parte dei browser, sia sui computer fissi che sugli smartphone, saranno dotati di dispositivi di ad-blocking, che permetteranno di fruire dei contenuti senza il disturbo di annunci pubblicitari;

Le iniziative più convincenti sul versante digitale sono, al momento, quelle che puntano a fidelizzare il nucleo dei lettori non occasionali con abbonamenti ed iniziative ad essi riservate. Nel primo trimestre 2017 il numero di abbonati digitali del New York Times è cresciuto di 308.000 unità, il maggior incremento trimestrale di sempre, portando il totale degli abbonati a poco meno di due milioni, con l’obiettivo dichiarato di superare i 10 milioni entro il 2020;

Per lo stesso motivo, le iniziative che hanno intrapreso molti Over The Top per ospitare all’interno del proprio ecosistema dei prodotti degli editori tradizionali – pensiamo alle pagine AMP di Google o agli Instant Articles di Facebook – potrebbero a lungo andare impoverire ulteriormente l’industria editoriale. Dopo una prima fase di grande entusiasmo, i grandi gruppi editoriali stanno cominciando a ripensare le proprie strategie: è di qualche settimana fa la notizia che Axel Springer abbandonerà progressivamente il server di pubblicità di Google a favore di un altro sistema sviluppato da AppNexus;

A meno di incisivi interventi delle autorità nazionali o sovranazionali di regolazione del mercato, pochi operatori come Google, Facebook, e in misura minore Apple e Microsoft sono già oggi, e sono destinati a diventarlo in misura sempre maggiore, i regolatori della vita digitale di ciascuno di noi: cosa leggiamo, che notizie riceviamo, cosa acquistiamo, con chi ci relazioniamo sul web. 

E’ quest’ultimo il punto più importante, che apre scenari spaventosi che nemmeno scrittori come George Orwell o Philip Dick avrebbero potuto immaginare. La multa da 2,4 miliardi di euro recentemente comminata dall’Unione Europea a Google costituisce un primo riconoscimento, da parte delle Autorità pubbliche, del fatto che Internet, nato come spazio di libertà e di comunicazione senza ostacoli e censure, si è gradualmente trasformato in una rete autostradale a pagamento dove la riscossione del pedaggio, che ce ne accorgiamo o meno, è in mano ad un paio di giganti. Ogni volta che accendiamo il computer o lo smartphone, qualunque sia l’attività che svolgiamo, lavorare o chattare con gli amici, acquistare un libro o prenotare un volo, i nostri dati personali, i nostri gusti, i nostri contatti, in breve tutti gli elementi che definiscono la nostra identità digitale, vengono depositati in qualche server in un punto imprecisato del mondo, a disposizione di aziende dalle dimensioni ciclopiche, con un fatturato superiore al PIL di molte nazioni, che oggi li utilizzano per fornirci suggerimenti su cosa comprare, cosa leggere, o li vendono ad inserzionisti interessati al nostro profilo di consumatori. Ma un domani…chi può dire come, da chi e con quali finalità saranno usati i nostri dati? Profilazione razziale o sessuale, per orientamento politico o religioso: la gamma delle possibilità per chi sa utilizzare i big data è potenzialmente infinita.

Ma anche a non voler scivolare in ipotesi apocalittiche, pensiamo soltanto al dibattito sulle fake news e sulla capacità dei social network di influenzare l’opinione pubblica amplificando notizie false o inesatte. Nell’ultimo anno è apparso evidente l’utilizzo – soprattutto di Facebook – per vere e proprie “operazioni di disinformazione” durante le campagne per le elezioni del Presidente negli Stati Uniti e in Francia, e durante il referendum sulla Brexit in Gran Bretagna, con pesanti sospetti di intromissioni di hacker al servizio di altre Nazioni per indirizzare l’opinione pubblica e l’esito del voto. Ciò è diventato possibile nel momento in cui i tradizionali strumenti di informazione, che del controllo e della verifica delle fonti hanno fatto la loro ragione prima di esistenza, sono stati trascurati e bypassati a favore di canali informativi dove l’“editore” non è interessato alla distinzione tra il vero e il falso, e dove tra una notizia dell’ANSA e la bufala per cui i vaccini causano l’autismo vince chi ha più like, non chi racconta la verità magari dopo un lungo (e costoso) lavoro di ricerca e verifica delle fonti.

Il tramonto dei mezzi di informazione come li abbiamo conosciuti sino ad oggi fa parte della fisiologia del progresso della tecnica, così come la scomparsa delle carrozze a cavalli e dei rullini fotografici. Ma se l’opinione pubblica dovesse formarsi non più su media realizzati professionalmente con una attenta verifica delle fonti, ma dentro una marmellata indistinta dove le notizie non emergono per la qualità del loro contenuto ma per il traffico che generano, allora avremmo un grosso problema di tenuta del sistema democratico, di cui i media – e il controllo che essi esercitano sul potere politico – sono una delle componenti essenziali. Ad un recente convegno Richard Thomson, amministratore delegato del gruppo editoriale News Corp, ha dichiarato: 

“Il duopolio digitale [di Google e Facebook] ha riscritto le regole in un modo da tagliare fuori gran parte del giornalismo e della verifica dell’accuratezza delle notizie. La mercificazione dei contenuti operata da Google, dove l’autorevolezza è secondaria rispetto al profitto, e i flussi di Facebook dove è difficile distinguere contenuti giornalistici e fake news, hanno creato un ecosistema  disfunzionale e socialmente distruttivo. Entrambe le aziende avrebbero potuto fare molto di più per sottolineare che esiste una gerarchia di contenuti, ma, invece, hanno prosperato spacciando una filosofia che non vuole distinguere tra il falso e il vero perché entrambi portano denaro”

* * *

Ritornando al recinto italiano, dobbiamo chiederci quali siano le prospettive di un settore che ha visto negli ultimi anni un così rapido declino degli indicatori economici e quali possano essere dei possibili correttivi. 

Una prima realtà ineludibile è che i quotidiani e le imprese editoriali in generale dovranno abituarsi ancor più di quanto hanno fatto sino ad oggi a nuotare nelle acque alte, ed agitate, di internet, perché è lì che vanno, in numero sempre maggiore, i propri potenziali lettori. Oggi il 62% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni è online nel giorno medio, ma solo il 30% di essi legge almeno un quotidiano.

E’ altrettanto certo, tuttavia, che le imprese non potranno abbandonare dall’oggi al domani la carta, sia perché – banalmente – ancora oggi l’80% abbondante del fatturato delle aziende editoriali transita per i coni delle rotative, sia perché una buona fetta della popolazione italiana  – la più anziana, spesso con un reddito disponibile maggiore – è abituata al consumo della carta stampata. La percentuale degli over 55 che è online nel giorno medio è in rapida crescita, ma è ancora inferiore alla percentuale degli ultracinquantacinquenni che leggono il quotidiano tutti i giorni.

I nodi strutturali che da decenni vengono segnalati in tutte le pubblicazioni del settore, compresa la nostra, rimangono sempre gli stessi: il basso tasso di lettura, il sistema distributivo poco elastico, un mercato pubblicitario squilibrato a favore della tv e adesso anche a favore degli Over The Top che per di più tendono ad eludere il pagamento delle tasse. 

C’è a ben guardare più di un segnale positivo arrivato negli ultimi mesi, come il credito di imposta per le aziende che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici per un importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, o la liberalizzazione della rete di vendita, o il rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti. Altre decisioni politiche, invece, rischiano di aggiungere ulteriori criticità ad un settore già in forte difficoltà: un esempio è la messa a bando dei servizi informativi tradizionalmente forniti alle amministrazioni pubbliche dalle agenzie tramite specifiche convenzioni. Trattare l’informazione come un prodotto o servizio qualsiasi, considerare le notizie d’agenzia come uno stock di computer o di risme di carta, rischia di impoverire il panorama informativo italiano oltre a mettere a rischio la sopravvivenza di veri e propri campioni nazionali del settore, primo tra tutti l’ANSA, quarta agenzia di stampa al mondo, custode di un patrimonio di autorevolezza e di credibilità cementato da decenni di attività.

Tra le criticità non possiamo non citare anche le recenti norme sugli ammortizzatori sociali nel settore editoriale, che rischiano di neutralizzare per i prossimi anni strumenti come Cassa Integrazione, solidarietà, prepensionamenti con i quali si è riusciti sino ad oggi a governare le crisi aziendali con un costo sociale molto limitato. Rimane infine, tra i “buchi neri” irrisolti, il tema degli abbonamenti: oggi in Italia, Paese del G7, in molte aree del Paese il servizio postale consegna la corrispondenza a giorni alterni. Una pietra tombale per quei pochi, eroici lettori che si ostinano ad abbonarsi ai quotidiani.

Ma qualunque aiuto, incentivo, defiscalizzazione che il Governo possa mettere in campo non potrà eludere la verità di fondo: ci dovremo abituare a numeri sempre più piccoli, e sarà necessario ritarare in questo senso tutto il settore: dalle redazioni al network produttivo, che già negli ultimi anni ha visto una progressiva riduzione sia nel numero di stabilimenti che nel numero di linee di produzione installate. La sopravvivenza degli impianti di stampa sarà dettata dai volumi produttivi che riusciranno a sostenere: sia di notte, stampando quotidiani, sia di giorno, stampando ciò che offre il mercato, come periodici o volantoni della grande distribuzione. È facile quindi prevedere che domani, ancor più che in passato, l’attività di stampa tenderà ad essere sempre più separata da quella più propriamente editoriale e dovrà trovare al di fuori dal tradizionale ambito il foraggio per la propria sopravvivenza. In questo scenario, a oggi non vi è purtroppo traccia di alleanze strategiche tra gli imprenditori del settore, a parte qualche timida apertura sulla stampa commerciale.

In questa prospettiva, la confluenza del contratto di lavoro poligrafico all’interno di una più ampia filiera, che comprende anche l’attività grafica e cartaria, fa parte del futuro auspicabile per il settore, anche in considerazione dell’ormai esiguo numero degli attivi, di poco superiore alle 4.300 unità. Si tratta peraltro di un obiettivo condiviso dalle parti sociali, Fieg, Asig e organizzazioni sindacali, che nel momento in cui si chiude questa edizione del Rapporto sono ancora impegnate nel rinnovo del contratto di lavoro, la cui parte economica è scaduta sette anni or sono. Già adesso tuttavia, a seguito di un accordo-stralcio siglato dalle Parti nel maggio scorso, le aziende che intendono assumere poligrafici, o convertire in poligrafico l’inquadramento di lavoratori già assunti, possono farlo con condizioni normative vantaggiose e, soprattutto, con una aliquota complessiva per il Fondo Casella del 4,20% in luogo dell’attuale 25,55%. Una mossa concreta contro chi in questi anni ha fatto dumping sul mercato della stampa dei quotidiani, ma anche un segnale di speranza che ci auguriamo il settore sappia cogliere.

Il Consiglio Direttivo

Luglio 2017

Sfide e idee per conquistarsi il futuro. Ediland Meeting 2017

“In un mercato dove l’informazione di valore rimane un punto di riferimento fondamentale e l’innovazione tecnologica continua senza sosta (l’ultima frontiera sono i droni), bisogna prendere atto che gli indicatori economici si sono stabilizzati, purtroppo, ad un livello più basso delle previsioni. Non si può più, quindi, parlare di una crisi del settore, ma di una situazione di riferimento con la quale confrontarsi ed alla quale adeguarsi”. Le parole di Gianni Paolucci, Presidente ASIG, danno il senso dei due giorni di dibattito svoltisi a Bologna il 19 e 20 settembre nell’ambito di Ediland Meeting 2017, la conferenza sull’industria editoriale e della stampa promossa da FIEG (Federazione Editori Italiana Giornali), ASIG (Associazione Stampatori Italiana Giornali) e Osservatorio Tecnico “Carlo Lombardi” per i quotidiani e le agenzie di informazione.

Nel corso dei due giorni del convegno, i 160 partecipanti al convegno si sono confrontati su tutti i temi rilevanti per il settore, dalla diffusione alla pubblicità, dai prodotti digitali al rapporto con i giganti del web, sino ai temi legati alla produzione ed alla logistica. Il filo rosso comune è stata la ricerca di nuovi equilibri e modelli di business sostenibili per un settore che in pochissimi anni ha visto sconvolti i propri parametri di riferimento.

I dati emersi durante il convegno, e riassunti nel Rapporto 2017 sull’industria italiana dei quotidiani, la pubblicazione edita ogni anno da Asig e dall’Osservatorio tecnico “Carlo Lombardi”, raccontano di una industria che ha perso negli ultimi dieci anni il 50% delle copie vendute e oltre il 60% del fatturato pubblicitario, ma che mantiene dimensioni più che rispettabili: ogni giorno escono dalle rotative dei circa 60 stabilimenti di stampa del paese quasi quattro milioni di copie di quotidiani, che alimentano un sistema distributivo di 28.000 punti vendita che generano a loro volta, tenendo conto anche dei periodici, oltre due miliardi di atti di acquisto ogni anno. Non sono molti i settori merceologici che posson vantare numeri così consistenti.

“Non è un problema di crisi, ma di cambiamento irreversibile e strutturale dell’industria. E’ necessario cambiare i modelli di business, immaginando il circuito dell’informazione di qualità come un triangolo le cui tre punte sono il buon giornalismo, la tecnologia, il marketing”. E’ quanto ha sostenuto nel suo intervento Giuseppe Cerbone, amministratore delegato di Ansa. Accanto ad essi, come in qualunque settore industriale, è necessaria la voglia di rischiare e di innovare soprattutto per intercettare i gusti e gli interessi degli under-45 che tendono a trascurare la carta stampata a vantaggio di altri strumenti di informazione.

Le tavole rotonde che si sono avvicendate nel corso della manifestazione hanno analizzato le diverse sfaccettature di un unico problema: la sostenibilità economica di un comparto investito da un cambiamento tecnologico e di abitudini di consumo che non ha precedenti e del quale non si intravede ancora la conclusione. Il panel dedicato alla pubblicità, moderato da Massimo Martellini, presidente della Federazione delle Concessionarie di pubblicità, ha analizzato i dati più recenti e provato a delineare una possibile strategia di supporto e di sinergia tra il mezzo tradizionale – la carta – e i prodotti digitali. Alle opportunità ed ai rischi del digitale – ed al difficile rapporto delle aziende editoriali con i giganti del web come Google e Facebook – era dedicata la seconda tavola rotonda, moderata da Marco Pratellesi, condirettore AGI, ed alla quale hanno preso parte Claudio Giua del gruppo GEDI, Massimo Colombo del Sole 24 Ore e i manager delle più importanti aziende che forniscono prodotti e servizi per il trattamento digitale delle informazioni. Il terzo panel infine, dedicato all’ottimizzazione dei sistemi di produzione, ha passato in rassegna le novità tecniche e di processo presentate dalle maggiori aziende che operano sul mercato italiano nell’area della produzione industriale dei quotidiani.

Siamo di fronte ad una grande trasformazione, che richiede tuttavia regole certe ed uguali per tutti, sia per garantire la possibilità di pluralismo e di competizione in un settore così delicato, sia per accompagnare i processi di innovazione digitale che hanno causato e continueranno a causare una perdita di posti di lavoro nelle aree di produzione tradizionali. In questo senso, il ruolo delle parti sociali è decisivo. Francesco Cipriani, Responsabile dell’Area Lavoro e Welfare di FIEG, dopo aver illustrato le novità e alcuni degli effetti pratici della nuova legge dell’editoria e dei successivi decreti attuativi,  ha sottolineato come la riforma degli ammortizzatori sociali  di settore dimostri che gli strumenti a disposizione per gestire gli stati di crisi diventano sempre meno favorevoli. Questo impone al settore dell’editoria di trovare al proprio interno gli strumenti per rendere più competitive le aziende, e da questo punto di vista il Contratto Nazionale di Lavoro Poligrafico è lo strumento principale di autoregolamentazione. E’ indispensabile che in tempi brevi si arrivi, pertanto, alla conclusione delle trattative per il suo rinnovo.

E tuttavia, ha concluso Alberto Di Giovanni, presidente dell’Osservatorio Tecnico – intervenendo al termine di una animata tavola rotonda alla quale hanno preso parte aziende editrici, aziende stampatrici e il sindacato di settore -qualunque aiuto, incentivo, defiscalizzazione che il Governo possa mettere in campo non potrà eludere la verità di fondo: ci dovremo abituare a numeri sempre più piccoli, e sarà necessario ritarare in questo senso tutto il settore. Fusioni, acquisizioni, alleanze tra aziende dovranno proseguire ad un ritmo molto più intenso di quanto non sia avvenuto sino ad oggi, per ridare sostenibilità economica ad un comparto industriale che si è strutturato in un periodo nel quale gli indicatori economici erano molto diversi dagli attuali.

Sentito al margine dell’incontro, il direttore generale FIEG Fabrizio Carotti ha sottolineato come la profonda crisi che attraversa l’editoria imponga cambiamenti importanti, nella struttura delle aziende e nelle regole del settore che devono tener conto dei diversi livelli economici raggiunti. I cambiamenti devono riguardare tutti gli ambiti, nessuno escluso. Con la legge sull’editoria – richiesta dalla Fieg, promossa dal Governo e approvata dal Parlamento lo scorso anno – si sono fatti significativi passi in avanti per garantire il necessario processo di trasformazione ed evoluzione del settore grazie ad alcune misure di fondamentale importanza: dalla modernizzazione e liberalizzazione del sistema distributivo, per favorire una maggiore capillarità e presenza di quotidiani e periodici sul territorio, allo sblocco dei prepensionamenti e all’attuazione delle misure utili per un effettivo passaggio generazionale nelle imprese editrici. Nelle prossime settimane è atteso un ulteriore passo in avanti con il  varo del decreto attuativo del credito d’imposta sulla pubblicità incrementale, misura necessaria per una ripresa degli investimenti nel settore.

Gli sponsor di Ediland Meeting 2017

La realizzazione di Ediland Meeting 2017 si è avvalsa del contributo di molte fra le maggiori aziende fornitrici italiane ed internazionali di hardware, software e materiali di consumo per l’industria editoriale e della stampa, che hanno individuato nella conferenza un canale privilegiato per compiere operazioni di branding e per promuovere le soluzioni più avanzate disponibili sul mercato. Agfa, Atex, Bwebsystems/manroland, D-Share, EidosMedia, Exelis, Ferag, Fujifilm, Gmde, Kodak, SunChemical, Tecnavia, Willbit-Protecmedia, Wrh Marketing, sono le aziende che hanno deciso di investire sulla Conferenza internazionale di quest’anno, rinnovando la loro fiducia nell’intera industria editoriale e della stampa italiana.

Nei prossimi giorni, nella pagina Ediland Meeting 2017, saranno disponibili le relazioni, le immagini e i file audio dell’evento.

Il Rapporto 2017 sull’industria dei quotidiani può essere consultato a questo link

Diffusione dei quotidiani in crescita del 2% a luglio 2017

Dopo il calo di giugno, la diffusione dei quotidiani in Italia ha ripreso a crescere nel mese di luglio. Le copie cartacee diffuse in media ogni giorno sono state complessivamente 2.450.168, in crescita del 2,5% rispetto al mese precedente. In calo invece dell’1,6% le copie digitali a 329.110 unità medie giornaliere. La diffusione complessiva è stata pari a 2.779.278 copie giornaliere, in crescita del 2% rispetto al mese di giugno 2017.

Rispetto al mese di luglio dell’anno scorso, la diffusione cartacea risulta invece in calo del 9,9%, mentre quella digitale è cresciuta dell’8,5%. Nel complesso, la diffusione dei quotidiani è risultata inferiore dell’8,1% rispetto al mese di luglio 2016.

Al primo posto per diffusione complessiva il Corriere della Sera con 310.408 copie, che guadagna il 3,3% nel cartaceo ma perde il 5,9% nel digitale. Al secondo posto con 229.452 copie Repubblica, che rispetto a giugno guadagna lo 0,1% nel cartaceo e perde il 2,1% nel digitale. Segue la Gazzetta dello Sport con 205.741 copie e La Stampa con 175.869 copie.

La Gazzetta dello Sport è inoltre il quotidiano che ha messo a segno il maggior incremento rispetto al mese di giugno: +13,1%. In significativa crescita anche la diffusione di Tuttosport (+9,3%), Nuovo quotidiano di Puglia (+8,8%), Gazzetta di Modena (+8,3%), Corriere dell’Umbria (+7,4%), Gazzetta del Sud (+5,9%), Corriere dello Sport (+5,9%).

Per approfondire

Pierre Bergé lascia ai soci le quote di Le Monde

Pierre Bergé, l’uomo d’affari francese famoso per essere stato socio e compagno di Yves St Laurent, con il quale nel 1961 fondò l’omonima maison di moda, è morto l’8 settembre a 86 anni di età. Tra le altre sue attività, Bergé era intervenuto nel 2010 nel salvataggio del quotidiano Le Monde insieme con Xavier Niel, patron dell’operatore telefonico Free, e al banchiere d’affari Matthieu Pigasse.

In un comunicato congiunto, Niel e Pigasse hanno precisato che è stato lo stesso Bergé a chiedere loro di rilevare le sue quote del quotidiano francese. I due saranno quindi azionisti paritetici della holding LML (Le Monde Libre), che detiene il 72,5% del capitale del quotidiano, con il 24,5% delle quote in mano al “polo di indipendenza”, ovvero i giornalisti ed i poligrafici del giornale.

Lo scorso gennaio la LML è salita dal 64% al 72,5% del capitale del giornale, a seguito della decisione di trasformare in azioni il debito di circa 30 milioni che il quotidiano aveva nei confronti dei tre imprenditori. A seguito di questo arrotondamento il polo di indipendenza ha perso lo status di minoranza di blocco, che gli permetteva di impedire operazioni straordinarie sul capitale, ma ha mantenuto una golden share che permette di subordinare qualunque modifica nell’azionariato al voto favorevole della maggioranza dei dipendenti.

Per approfondire

Exelis & Zucchetti: una partnership di grande valore

Da molto tempo ci domandavamo come essere più utili ai nostri Clienti, come ampliare e migliorare la nostra capacità di dare risposte alle esigenze del mercato sia in termini di prodotto che di servizio.

Molti Gruppi Editoriali hanno fatto percorsi di razionalizzazione cercando soluzioni performanti, scalabili e veloci da implementare. Ciò ha portato le strutture di concessionaria ad essere sempre più simili ai “sales department” del mondo anglosassone. Exelis oggi ha la capacità di dare risposte alle esigenze gestionali, amministrative e contabili non “solo” delle concessionarie di pubblicità: ci rivolgiamo infatti alle Media Company che diventano per noi un nuovo importante soggetto a cui indirizzare la nostra offerta di prodotti e servizi.

Sentivamo forte l’esigenza di individuare un Partner tecnologico che fosse leader nell’ERP e potesse accelerare il nostro percorso di crescita. Nel 2016 ci siamo dedicati alla valutazione delle migliori piattaforme, sia italiane che estere, su cui poter cablare in modo efficiente le esigenze peculiari del business pubblicitario.

L’incontro con Zucchetti è stato entusiasmante dal primo istante: il prodotto Mago4 ci ha colpiti per completezza, facilità d’uso e grande predisposizione alla verticalizzazione.

La vision, la qualità delle persone e dell’organizzazione aziendale ci hanno fatto comprendere che la ricerca era terminata ed aveva portato ottimi frutti!

L’ERP Mago4 è il primo elemento sul quale si è concretizzata e formalizzata la partnership Exelis con Zucchetti; stiamo già lavorando per formare le nostre competenze interne, commerciali e tecniche, sull’offerta di prodotti e servizi che spaziano dalla collaboration al CRM, dalla dematerializzazione alla conservazione sostitutiva.

Siamo quindi orgogliosi e fieri di proseguire questo nuovo e stimolante percorso, soprattutto ora che abbiamo tutti gli strumenti per fare ancora meglio e di più.

“Zucchetti è leader in Italia nel campo del software applicativo, con un’offerta in grado di soddisfare qualsiasi esigenza di aziende e professionisti.

Il vantaggio di scegliere Zucchetti non si limita all’assoluta eccellenza dei prodotti, ma anche alla qualità dei servizi garantiti dai nostri business partner sul territorio, che si occupano di tutte le attività di personalizzazione, installazione, manutenzione e aggiornamento del software.

Per questo motivo siamo molto selettivi nella scelta dei nostri distributori, che devono essere capaci di trasferire al mercato tutto il valore delle nostre soluzioni.

In Exelis abbiamo trovato un partner ideale non solo per competenza ed esperienza, ma anche per la condivisione dei nostri principi di attenzione al cliente e passione per l’innovazione.

Siamo certi che questa struttura saprà sfruttare tutte le potenzialità del nostro software gestionale Mago4 per supportare le aziende nel loro percorso di trasformazione digitale”.

Mario Aschiero – Direttore Vendite canale indiretto di Zucchetti

Nuovo palazzo sede degli uffici della Zucchetti a Lodi

Nuovo palazzo sede degli uffici della Zucchetti a Lodi

Per approfondire

Sole 24 Ore: semestrale in linea con il piano di rilancio

“I conti (del Sole 24 Ore) ci confermano che siamo coerenti con il piano”. Cosi’ il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha commentato i risultati del primo semestre dell’anno del gruppo editoriale di cui Confindustria controlla il 67,5%.

Nel primo semestre del 2017, il Gruppo 24 ORE ha conseguito ricavi consolidati pari a 121,2 milioni di euro e si confronta con un valore rideterminato pari a 138,5 milioni di euro dello stesso periodo del 2016 (-17,3 milioni di euro, pari al -12,5%). Tale variazione è dovuta in particolare alla diminuzione dei ricavi editoriali pari a 6,9 milioni di euro (-11,2%) e al calo dei ricavi pubblicitari pari a 6,8 milioni di euro (-11,5%).

La diffusione cartacea media per il periodo gennaio–giugno 2017 è pari a circa 100 mila copie (-23,1% vs 2016). La diffusione digitale è pari a 85 mila copie (+0,5% vs 2016). La diffusione cartacea sommata a quella digitale è complessivamente pari a 185 mila copie medie (-13,8% vs 2016).

I margini operativi beneficiano della significativa riduzione dei costi diretti e operativi per circa 20 milioni (-19,6% rispetto al pari periodo 2016). Il margine operativo lordo (ebitda) al netto degli oneri non ricorrenti migliora di 5,6 milioni portandosi a -9,1 milioni di euro rispetto a -14,7 milioni del pari periodo del 2016.

Il risultato netto, escludendo gli oneri non ricorrenti, migliora di 8,9 milioni passando da -23,6 milioni di euro nel primo semestre 2016 rideterminato a -14,7 milioni di euro nel primo semestre 2017. Il risultato netto, includendo gli oneri non ricorrenti, è pari a -45,5 milioni di euro e si confronta con un risultato negativo rideterminato di 49,8 milioni di euro del primo semestre 2016.

13 milioni di utenti per Upday

La news App Upday, lanciata da Axel Springer 18 mesi or sono, ha comunicato di aver raggiunto i 13 milioni di utenti, in deciso aumento rispetto agli 8,5 milioni di febbraio. L’incremento è dovuto anche al fatto che l’app, che gira soltanto su smartphone Android ed è precaricata nei telefoni Samsung, è disponibile in 16 paesi europei, tra cui l’Italia, con circa 50 giornalisti, suddivisi tra otto centri redazionali, il doppio di quando l’app fu lanciata nel marzo 2016. Nel quartier generale di Berlino lavorano inoltre 25 sviluppatori software e 25 addetti all’area commerciale e marketing.

La società ha inoltre comunicato che il numero degli editori che lavorano con Upday è quasi raddoppiato a 3.500, per un totale di 4 milioni di visite giornaliere ai siti degli editori partner, ai quali Upday apporta dal 5  al 20% del traffico giornaliero complessivo.

Negli ultimi due mesi, Upday ha inoltre iniziato ad offrire campagne pubblicitarie multinazionali, in alternativa a Google e Facebook. il produttore di auto Seat ha recentemente pubblicato su play una campagna pubblicitaria in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Spagna.

Per approfondire

Nuovo editore per il New York Daily News

(ANSA) Fine di un’era a New York: il Daily News, quasi centenario tabloid della Grande Mela, è passato di mano per un dollaro. Il gruppo editoriale Tronc, che pubblica anche Los Angeles Times e Chicago Tribune, ha pagato la simbolica cifra al miliardario immobiliare Mort Zuckerman che a sua volta lo aveva acquistato nel 1993 per 36 milioni di dollari in contanti.

Voce della classe lavoratrice newyorchese, storico rivale del New York Post di Rupert Murdoch, il Daily News fu, all’atto della fondazione nel 1919, il primo giornale negli Usa stampato in formato tabloid. Il passaggio di mano segna un “ritorno a casa”. Il fondatore del quotidiano, Joseph Medill Patterson, e suo cugino, Robert McCormick, erano i proprietari del Chicago Tribune e il gruppo Tribune aveva mantenuto le mani sulla testata fino al 1991.

L’ingresso di Tronc segna la possibile fine dell’influenza politica di Zuckerman, che ha spesso usato la prima pagina per commentare candidati e politici e di recente non aveva nascosto una spiccata antipatia per Donald Trump coltivata in anni di guerre sul fronte del real estate a Manhattan.  Celebre per le sue pagine sportive, la cronaca nera e il gossip (scrivevano per il tabloid grandi firme della cronaca rosa come Liz Smith, Jimmy Breslin e Pete Hamill), lo scorso anno il Daily News aveva vinto il suo undicesimo Pulitzer in partnership con ProPublica per una serie di servizi sugli abusi della polizia.

Ma a dispetto delle vecchie e nuove glorie, anche per il Daily News era arrivata l’epoca delle vacche magre: dopo aver fatto le spese della rivalità con il Post, l’avvento di Internet aveva avuto la meglio. Tanti licenziamenti, una tiratura scesa dai 2 milioni degli anni Quaranta (un record per gli Stati Uniti) a poche centinaia di migliaia, montagne di debiti.

L’acquisto mette in mano a Tronc il terzo grande mercato metropolitano dopo Chicago e Los Angeles, oltre al 100 per cento della proprietà delle tipografie di Jersey City e il 49,9 per cento di 10 ettari con vista sullo skyline di Manhattan. Il tutto a un costo reale stimato in alcune decine di milioni di dollari tra spese operative, debiti e oneri pensionistici. (di Alessandra Baldini)

Anche il New York Times esplora il giornalismo non profit

Dopo il Guardian di Londra, anche il New York Times ha avviato una iniziativa per favorire il finanziamento di progetti giornalistici da parte di organizzazioni filantropiche. Il quotidiano ha infatti nominato la giornalista Janet Elder responsabile di un’area di attività con l’obiettivo di ottenere finanziamenti non-profit per progetti giornalistici particolarmente ambiziosi.

In una nota congiunta Dean Baquet e Joseph Kahn, rispettivamente Executive Editor e Managing Editor del quotidiano, hanno sottolineato come la decisione è giunta in risposta alle richieste che da circa un anno vengono da università e organizzazioni non-profit, che si rivolgono al New York Times riconoscendone l’indipendenza e la capacità di approfondimento.

Lo scorso anno un intero numero del New York Times Magazine fu occupato da “Fractured Lands”, un reportage di 40.000 parole sul Medio Oriente realizzato dal giornalista Scott Anderson e dal fotografo italiano Paolo Pellegrin, interamente finanziato dal Pulitzer Center, organizzazione non profit dedicata alla promozione del giornalismo.

Per approfondire