Agcom: torna a crescere nel 2016 l’industria italiana delle comunicazioni
Nella relazione annuale dell’Agcom, presentata l’11 luglio scorso dal Presidente dell’autorità Marcello Cardani, è possibile trovare una fotografia nitida dello stato dell’industria delle comunicazioni nel nostro Paese, che dopo anni di difficoltà torna a crescere ma che mantiene ancora al proprio interno numerose criticità. Di seguito i punti più importanti della relazione (news ANSA)
- Dopo la casa è il vasto settore delle comunicazioni la seconda voce di spesa delle famiglie italiane. Nel 2016, dopo 10 anni di ininterrotta contrazione, la spesa di famiglie e imprese in servizi tlc è tornata a crescere, con un incremento di circa l’1%, rispetto ad un calo dell’1,8% nel 2015. Per telecomunicazioni, televisione, radio, quotidiani e periodici, servizi postali e altri servizi di comunicazione online, la spesa media annua rappresenta così “la seconda spesa delle famiglie dopo la casa. La quota prevalente è destinata alla linea/scheda telefonica e all’accesso a Internet su reti fisse e mobili, seguita da servizi e prodotti audiovisivi in diverse modalità, dall’acquisto di quotidiani e periodici e infine dai servizi postali. Di fronte alla contrazione dei ricavi dai tradizionali servizi voce (-7,6%), continuano a crescere le risorse derivanti dai servizi dati (+5,6%). Nel 2016 si registra così per la prima volta il “sorpasso” dei ricavi da servizi dati su quelli da servizi voce.
- L’Italia è ancora al penultimo posto della classifica Ue di utilizzo di Internet, nonostante la percentuale della popolazione che usa il web sia cresciuta di 3 punti percentuali nel 2016, arrivando al 60%. Il web è utilizzato meno della media Ue per acquisti, servizi bancari e video on demand), nella media per social network, mentre unico indice sopra la media è il consumo di contenuti digitali (musica, video, giochi online). Sostanziali risultano le differenze generazionali: se nella fascia più anziana della popolazione (65-74 anni) solo 33 individui su 100 accedono a Internet, nella fascia più giovane (14-34 anni) tale percentuale sale al 92%. Tra gli individui che dispongono di una connessione, più del 70% di essi si collegano praticamente ogni giorno, percentuale che cresce per le fasce di età più giovani, le quali mostrano anche una maggiore propensione a connettersi fuori casa. Gli adulti over 50 dedicano più tempo ai video e all’informazione (quotidiani digitali, news online), mentre quelli nella fascia 16-24 alla comunicazione, soprattutto social, al gioco e alla musica.
- La copertura nazionale con reti a banda ultralarga fa un deciso balzo in avanti nel 2016 – dal 41% delle unità abitative nel 2015 al 72% lo scorso anno – consentendo all’Italia un sostanziale avvicinamento agli obiettivi dell’Agenda digitale europea. La percentuale di popolazione abbonata a reti a banda ultralarga passa dal 5% nel 2015 al 12% nel 2016, collocandoci al 25 posto della classifica europea e ben al di sotto del valore medio di utilizzazione, che nella media Ue è del 37%.
- Nel 2016 il mercato dei media registra ricavi per 14,9 miliardi, il 49% da investimenti pubblicitari, il 37% da vendita di servizi e il 14% da canone e contributi pubblici. La tv mostra nel 2016 i più evidenti segni di ripresa, tornando ad attestarsi sopra gli 8 miliardi di euro, con oltre l’80% dei ricavi in capo a Rai e Mediaset per le tv generalità, e il 77% del gruppo 21st Century Fox/Sky Italia nella pay tv, con Fininvest/Mediaset è al 21%. I ricavi pubblicitari per mezzo subiscono una contrazione del 7% negli ultimi cinque anni, ad eccezione della pubblicità online che cresce del 27%. Il comparto chiude, tuttavia, il 2016 in rialzo rispetto al 2015 (+5%), con risultati diversi: quotidiani e periodici registrano una riduzione del valore delle risorse pubblicitarie (-6%), la radio e la televisione una ripresa, più contenuta per la radio.
- La stampa è il settore che evidenzia i segnali di maggiore sofferenza, e i quotidiani continuano a mostrare il declino strutturale: i ricavi complessivi nel 2016 calano del 6,6%, con una riduzione maggiore dei ricavi pubblicitari (-7,7%) rispetto a quelli derivanti da vendita di copie, inclusi i collaterali (-6%)). I ricavi dall’utente sono scesi dai 1,119 miliardi del 2015 a 1,052 miliardi nel 2016 (-6%), mentre quelli da pubblicità sono calati dell’8%, dagli 817 milioni del 2015 ai 754 milioni del 2016. Si assiste allo strutturale decremento delle copie cartacee, la cui dinamica è da anni caratterizzata da un inarrestabile declino pari al 43% nel quinquennio 2011-2016. E si evidenziano le difficoltà degli editori a valorizzare il prodotto tradizionale nel mondo digitale: le copie digitali, che costituiscono circa il 12% del totale delle copie vendute, rappresentano solo il 6% dei ricavi.
- Google e Facebook insieme “detengono ben oltre il 50% dei ricavi netti da pubblicità online”, che complessivamente per il 2016 si attestano su un valore stimato pari a 1,9 miliardi di euro. La ripartizione degli investimenti in pubblicità online per device a livello mondiale negli ultimi cinque anni indica una crescita della spesa riferibile agli apparecchi mobili, rispetto alla pubblicità veicolata attraverso desktop, che è passata dal 25% nel 2014 al 42% nel dato previsionale per il 2016.
- Le fake news sono un fenomeno di estrema gravità per sul quale non basta l’autoregolamentazione dei colossi web, occorre un robusto intervento normativo. Per Cardani “depone a favore di un intervento normativo la preoccupazione per l’eccessivo potere delle piattaforme online. Ci si chiede, infatti, come sia possibile fidarsi della promessa dei colossi del web di sviluppare algoritmi finalizzati a rimuovere le informazioni false e virali se questi stessi colossi sono anche i principali ‘utilizzatori’ gratuiti dell’informazione attraverso i motori di ricerca e la gestione degli algoritmi che determinano la gerarchia delle preferenze. Inoltre, sembra legittimo dubitare che, in assenza di un controllo esterno e terzo, questi operatori siano disponibili a sacrificare i ricchi introiti pubblicitari a favore di costi per il contenimento dei danni in reputazione”.
- Emerge chiaramente un netto scivolamento della professione giornalistica verso la precarizzazione, un gender gap – sia negli aspetti puramente remunerativi, sia nell’avanzamento di carriera – e la presenza di forti barriere all’ingresso per le nuove generazioni. La riduzione delle risorse disponibili (-24% ricavi per il settore negli ultimi cinque anni), unitamente alle perdite generate dalla maggiore difficoltà di gestione dei diritti d’autore delle news online ha comportato una riduzione degli investimenti e, non solo una contrazione, ma anche un peggioramento, dell’occupazione”.
- Il nuovo contratto di servizio Rai dovrà “definire con chiarezza la base su cui Rai dovrà operare, sia nei servizi/prodotti verso i consumatori che pagano il canone, sia rispetto alle attività commerciali ed editoriali svolte nel mercato libero. Sarà decisivo, rispetto al passato, delineare perimetro e gradi di libertà in cui Rai potrà muoversi con una logica imprenditoriale concorrenziale, non dimenticando la missione prevalente di servizio pubblico”.