News Corp svaluta gli asset e perde 643 milioni di dollari

News Corp, il gruppo editoriale controllato da Rupert Murdoch che pubblica tra gli altri The Times, The Sun, The Australian, The Wall Street Journal, ha chiuso il bilancio dell’anno fiscale 2017 con una perdita netta di 643 milioni di dollari USA, contro un utile 2016 di 235 milioni.

La perdita è imputabile principalmente alle svalutazioni, effettuate nel corso dell’esercizio, sul valore patrimoniale dei quotidiani in Gran Bretagna ed Australia e sul valore della Pay-tv australiana Foxtel. Nel complesso, le svalutazioni hanno inciso sul bilancio per circa 930 milioni di dolalri.

Il fatturato complessivo del gruppo è stato di 8,14 miliardi di dollari, in calo del 2% rispetto al 2016. Il margine operativo lordo è stato pari a 885 milioni contro i 684 del 2016, che erano stati zavorrati da costi straordinari per 280 milioni dovuti alla risoluzione della causa con News America Marketing.

I ricavi pubblicitari sono stati pari a 2,61 miliardi di dollari, in calo del 7%, mentre i ricavi diffusionali sono stati di 2,01 miliardi, in calo del 5%. In forte crescita (938 milioni, +4%) i ricavi derivanti dai servizi immobiliari digitali. Gli abbonamenti digital only sono in sostenuta crescita sia in Australia, dove sono passati in un anno da 271.000 a 363.000, sia in Gran Bretagna, dove il Times ha superato i 200.000 abbonati, sia infine negli Stati Uniti, dove gli abbonati digitali del Wall Street Journal sono ormai 1,27 milioni. La pubblicità digitale rappresenta ormai il 25% del fatturato complessivo, contro il 22% dell’anno passato.

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Dopo sei anni il Financial Times ritorna sull’App Store

A sei anni di distanza dal clamoroso abbandono, il Financial Times torna disponibile per gli utenti di iPhone e iPad; una nuova app sarà infatti disponibile a breve in Gran Bretagna e USA sull’App Store di iOS, il sistema operativo utilizzato dai dispositivi mobili di Apple.

Nel giugno 2011 il Financial Times decise di ritirare la propria app dal negozio iTunes, in disaccordo con la politica di Apple, che prelevava il 30% su ogni abbonamento e soprattutto non forniva i dati degli abbonati. Le nuove app saranno accessibili soltanto a coloro che sono già abbonati ai servizi di FT, e non sarà possibile abbonarsi attraverso l’app: per farlo, l’utente dovrà andare sul sito web del giornale.

In pratica, con questo nuovo modello di abbonamento il quotidiano britannico potrà evitare di cedere una parte dell’importo dell’abbonamento a Apple, e soprattutto potrà raccogliere i dati del pagamento e altre utili informazioni commerciali e di marketing direttamente dall’abbonato.

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Google segnala i siti a rischio per gli ad blocker

In vista dell’introduzione a partire dal 2018 sul proprio browser Chrome di un sistema di “ad blocking”, che blocca cioè i messaggi pubblicitari ritenuti fastidiosi o troppo invasivi, Google ha rilasciato un elenco di siti considerati “a rischio”, che potrebbero cioè essere bloccati dal sistema di ad block.

Google ha individuato circa 700 siti, sui 100.000 finora verificati, con lo stato “failing”, cioè che verrebbero bloccati dal nuovo software. Il problema più diffuso (96% dei casi nel caso dei siti desktop, 54% per quelli mobili) è la pubblicità pop-up, seguito dai video che si avviano da soli e gli annunci pubblicitari che si aprono prima dell’apertura della pagina richiesta.

Tra i siti a rischio, vi sono numerosi siti di giornali quotidiani e di organizzazioni editoriali. Tra gli altri, Forbes; The Orlando Sentinel, The Sun-Sentinel, Los Angeles Times, Chicago Sun-Times, The Jerusalem Post, The San Diego Union-Tribune, Baltimore Sun, Chicago Tribune, The Christian Science Monitor, the U.K. Independent,  New York Daily News, Salt Lake Tribune.

Google ha annunciato che, una volta che il nuovo browser con il sistema di ad block verrà rilasciato nel 2018, ritirerà le inserzioni pubblicitarie dai siti che entro 30 giorni dalla notifica della violazione non saranno rientrati nei parametri fissati dalla cosiddetta Coalition for Better Ads, una alleanza tra operatori della pubblicità della quale fanno parte tra gli altri Unilever, GroupM, The Washington Post, della quale Google è membro fondatore, che si propone di “ripulire” la pubblicità digitale.

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